Guerra, opera di Maria Elena Didonna (Aisha ColorsAndEssence)

I tuoi colleghi ti hanno soprannominata macchina da guerra, e tu fingi di considerarlo un complimento, quando invece se ne avessi la possibilità deporresti volentieri le armi e ti dedicheresti di più a quell’adorabile ometto che hai messo al mondo. Tra non molto andrà a scuola, avevi promesso che gli avresti insegnato a leggere. Sì, ma quando? In azienda tira una brutta aria, il lavoro in fondo ti piace ma sta diventando sempre più impegnativo, sai che non puoi rifiutare le richieste di aumento del carico di responsabilità.

Se solo tuo marito trovasse un impiego… So che non sei convinta che lui stia davvero cercando lavoro, si è pure arrabbiato quando gli hai chiesto di badare al piccolo durante il periodo di chiusura delle scuole. Avreste risparmiato i soldi della ludoteca.

Va bene, che ludoteca sia, forse se gli concedi più tempo riuscirà a inoltrare qualche candidatura.

Continuerai tu a correre a destra e a manca, a incastrare gli orari di scuola e strutture, riunioni di lavoro, spesa, pediatra, festa di compleanno del suo amichetto, pulizie in casa.

Anche le pulizie? È vero, dimenticavo, una presenza estranea in casa lo disturba, soprattutto quando dorme fino a tardi, per questo hai dovuto liquidare a malincuore quella cara ragazza che ti aiutava con le faccende domestiche.

Dal tuo capo arriva la richiesta di un viaggio di lavoro, quattro giorni all’estero. Non sai se essere eccitata o disperata perché in fondo non sei tranquilla a lasciare il tuo ometto tutti quei giorni da solo con suo padre. Perché? È suo padre! Tu stessa lo hai ripetuto più volte a tua mamma quando ha espresso diffidenza verso tuo marito.

Ma tuo marito, alla notizia del viaggio, non ha proferito parola, ha solo afferrato il coltello per l’arrosto e lo ha osservato per un minuto senza battere ciglio, come se ne stesse studiando i dettagli.

Così tua madre all’improvviso ha avuto necessità di visite specialistiche e il viaggio di lavoro è saltato. Sei stata sostituita con una collega più giovane e inesperta ma non hai potuto protestare, anzi, per compensare, hai aumentato gli straordinari nel tentativo di limitare le conseguenze della tua non disponibilità.

Ma tuo marito non ha creduto alle motivazioni che ti hanno spinta a lavorare di più, ha iniziato invece a telefonare in ufficio con vari pretesti per controllare che fossi davvero lì, ha inscenato il terzo grado di fronte al tuo scarso appetito, con la convinzione che avessi già cenato in compagnia di qualcuno prima di rientrare. Adesso continua a ripetere che sei una madre incapace, perché ti concedi svaghi superflui mentre lui cerca disperatamente lavoro, e tuo figlio è troppo capriccioso, non sai educarlo.

Che strano, quando racconti questi episodi recenti ti rendi conto che si sono già verificati in passato, anche se in modo più sporadico. Cosa è cambiato? Come mai adesso ti turbano? Ti senti isolata. Lui ha smesso di frequentare quei pochi amici che conosceva e alle tue richieste di spiegazioni ha sussurrato che chi si fa gli affari suoi campa cent’anni.

Inventi continue scuse per evitare che tua madre venga a trovarvi, chiami le amiche di nascosto mentre sei in macchina e cancelli la cronologia delle telefonate, non chiedi più nulla, fai e basta, tutto alla perfezione, tutto follemente perfetto.

Persino tuo figlio ha smesso di fare domande, ha solo ricominciato ad aggrapparsi alle tue gambe senza motivo, come faceva a due anni. Avverti un brivido quando pensi che potrebbe assomigliare a suo padre, non ha altri esempi da imitare. Ma è suo padre, con chi dovrebbe crescere?

Aumenta lo spettro dei tagli al personale, alle incombenze giornaliere si aggiunge la ricerca di un nuovo lavoro e la richiesta di tuo marito di cercare anche per lui. Così ottimizziamo. Non ci avevi pensato prima d’ora: ottimizzare, che espressione adeguata.

Cosa deve succedere ancora? Le tue amiche al telefono alternano sostegno e rimprovero, sembri essere l’unica a non capire che hai bisogno di aiuto.

Una sera l’insalatiera ti scivola dalle mani e la cena si sparge sul pavimento. Le sue urla arrivano fino in strada, mentre afferra vostro figlio e lo trascina fuori casa senza prendere neanche la giacca. Resti paralizzata, lo chiami più volte, ha il cellulare spento. Non avvisi nessuno, temi le conseguenze, ti rannicchi in un angolo della cucina con la testa tra le ginocchia. Moriresti per tuo figlio ma non ti sei mai sentita così impotente e priva di forze.

Quando tornano scopri che sono andati in un paese vicino a mangiare una pizza, ti chiudi in bagno e vomiti la tensione accumulata.

Sì, hai bisogno di aiuto, non ce la fai più a reggere l’ansia.

Ma com’era prima? Da fidanzati, intendo. Come doveva essere? Normale, tutto normale. L’università, il pub il sabato sera, il Natale dai tuoi, i primi risparmi per poter vivere insieme dopo il matrimonio. Erano passati quattro anni di fidanzamento, desideravi una famiglia tua.

Hai lasciato la casa dove sei cresciuta in abito da sposa, davanti a te l’inizio di una nuova vita.

Non avresti ripetuto gli errori di tua madre: tu sei nata in un’epoca in cui le ragazze studiano, lavorano e possono permettersi di comprare un’auto senza chiedere un soldo al marito;

così hai fatto di tutto per diventare autonoma, e grazie a quell’autonomia da due anni a questa parte campate in tre.

Ti informi per chiedere aiuto ma hai paura di essere scoperta, quindi non racconti a nessuno cosa ti hanno consigliato gli esperti, temi che i tuoi stessi pensieri ti tradiscano.

Al secondo viaggio di lavoro che non puoi rifiutare, tuo marito non si oppone e sembra persino felice che ti assenterai un paio di giorni.

Da qualche settimana sta uscendo di più, si interessa meno a ciò che fai, ignora vostro figlio. Non ti racconta dove va o cosa fa, a te sta bene così, puoi tirare il fiato dopo mesi di apnea e riesci addirittura a prendere un caffè con una tua collega prima di rientrare a casa.

Non ci vuole molto a capire cosa stai pensando: si è trattato solo di un periodo difficile, non appena troverà un lavoro si sistemerà tutto, non puoi togliere il padre a tuo figlio, hai esagerato a preoccuparti così tanto. Anche tuo marito te lo ripete spesso, tendi a esagerare, sei ansiosa come tua madre.

La guerra non è sul lavoro, lì sei te stessa: determinata, sicura, intraprendente. La guerra inizia in un punto indefinito e inesplorato della tua anima, quell’anima bella che cresce suo figlio sperando che diventi un adulto sereno e felice.

Siete una coppia come tante, ripeti alle tue amiche dubbiose della piega che hanno preso gli eventi. Eri solo stressata per il lavoro e gli impegni, non succederà niente.

Almeno fino alla prossima dichiarazione di guerra.