Colpa, opera di Maria Elena Didonna (Aisha ColorsAndEssence)

Un’altra volta? Sì, un’altra volta. Non ti invidio. Non per la tua situazione, è che non oso immaginare come troverai il modo di dirlo a mamma, prima zia, seconda zia, due cugine e una vicina di casa, giusto per restringere il cerchio all’essenziale.

Aspetterai il primo pranzo di famiglia – via il dente via il dolore – oppure lascerai che il passaparola faccia il lavoro sporco al posto tuo? Scelta difficile. Ricorda però che non è il tuo forte gestire gli sguardi del “non ce l’hai detto ma lo sappiamo comunque”. Diventi una iena, soprattutto se la cara cugina ha già notato che le foto di coppia sono scomparse da più di un mese dal tuo profilo social.

Questa volta preparati, sai che la domanda arriverà, è una certezza. La famosa domanda che non deve sfiorare orecchie maschili e che genera più sensi di colpa di un Natale trascorso su calde spiagge coralline con la tua amica sudamericana e non intorno a una tavola apparecchiata a festa insieme ai parenti.

“Perché non sai tenerti un uomo?”. Come se gli uomini fossero dei gatti pronti a cambiare famiglia se per caso non riesci ad azzeccare la loro marca di croccantini preferita. Non saprai cosa rispondere alle soccorritrici delle femmine incapaci, ingoierai le parole evitando di dare sfogo alla sofferenza per l’ultima delusione amorosa. Perché mai dovresti tenertelo un uomo? Un uomo lo vorresti al tuo fianco e non al guinzaglio, ne sei convinta da sempre, ma al momento del confronto familiare anche il pilastro più forte della tua autostima trema.

“Era un così bravo ragazzo!” Partono le litanie di elogio alla povera vittima della tua intolleranza. Sei tu infatti quella sbagliata: ti saresti dovuta impegnare di più, anche rinunciando alle tue amiche, soprattutto se non riuscivi ad accettare che lui continuasse a vedere la sua ex, camuffando alcuni incontri sotto la forma di fantasiose coincidenze.

All’epoca di tua madre le donne sapevano rimanere al loro posto e affrontavano con dignità le distrazioni degli uomini che portavano il pane a casa – qualche svago dopo il lavoro era necessario, era normale. Non si trattava di un impegno, ma di un dovere morale.

Che si fa adesso? Il collier d’oro, pronto dal giorno della tua cresima, attende senza speranza un abito da sposa che forse non arriverà mai. Confessa, hai già calcolato quanto potrebbe fruttare per contribuire al tuo prossimo viaggio in Sudamerica.

Non hai ancora compiuto trentacinque anni, senti che la vita sta iniziando adesso, dopo la laurea e una gavetta infinita, eppure sai cosa si sussurra davanti ai fornelli durante le lunghe sessioni di frittura dei panzerotti: ti danno tutte per spacciata. E ti fa male.

Avverti già il peso dei problemi e delle scelte che ti si prospettano: le ambizioni lavorative, il tuo successo che spaventa gli uomini mediocri, il desiderio di avere una famiglia tua che possa seguirti con gioia anche in un’altra nazione se un giorno dovessi raggiungere obiettivi importanti. La paura della solitudine che si affaccia meschina.

Te lo ricordi quel matrimonio? Credo che non lo dimenticherai mai, hai conosciuto lì uno dei tuoi compagni, quello per cui hai sofferto di più. Mezza provincia si era presentata in abito da sera sotto il cielo elegante di inizio estate, la sposa si era incaponita e, per reggere il confronto con la silfide di sua cognata, aveva perso troppi chili. Chili recuperati poi con gli interessi dopo la delusione del primo semestre da moglie perfetta.

Lo lascerà, hai pensato. La stessa sposina, mezza ubriaca al raduno delle amiche storiche dopo il viaggio di nozze, aveva annunciato la separazione tra le risate generali. Solo tu ci avevi creduto, o sperato. Invece al terzo figlio – finalmente un maschio – avevi già smesso da tempo di essere la sua spalla di conforto, perché la lamentela era diventata l’unico argomento protagonista tra voi; avevi rinunciato a raccontare i tuoi risultati lavorativi o le difficoltà della tua vita, tanto non ascoltava.

“Almeno lei ha tre figli ed è ancora giovane” protestava tua zia, mentre ricordavi le occhiaie della tua amica e le sue parole lapidarie dopo la seconda gravidanza: «Mi sento vecchia, non sono più io». Eppure già a vent’anni e senza un compagno in vista dichiarava convinta che avrebbe avuto figli entro i trent’anni. A qualunque costo? Tu no, non così. Per questo un uomo non te lo tieni e basta, anche se di fronte alla parentela femminile giuri che non te ne frega niente dell’orologio biologico.

Nel frattempo il tuo ex è tornato con la sua ex, e così è stato ristabilito l’equilibrio delle loro due famiglie di origine che attendevano questo finale da tempo, tu avevi mandato all’aria i loro piani. Un merito però lo devi riconoscere, perché adesso lui ha capito cosa vuole dalla vita e dalle donne. Tu un po’ meno, ma tua madre pare abbia accettato che sei più felice così, con le tue incertezze. Certo, vorrebbe vederla sposata la sua unica figlia femmina, ma sorride e ti rassicura, prima o poi anche tu troverai l’uomo giusto, non dar retta a tua cugina, quella è un miracolo che qualcuno se la sia presa.

Va bene, proviamo a cambiare prospettiva. Da adesso, invece di ingegnarti a trattenere un fidanzato dalla fuga proverai a suscitare pietà. Qualcuno potrebbe decidere di raccoglierti dalla strada della solitudine per offrirti un futuro normale.

Cosa ne pensi? Già, il concetto di normalità ti risulta ancora oscuro. Si può avere una vita normale ed eccezionale allo stesso tempo? Che domanda difficile. Non pensarci adesso, tra un mese avrai dodici ore di aereo per ragionarci su. Al ritorno, con la pelle abbronzata, sarà tutta un’altra storia.